Mi accingo a trattare uno dei gruppi più complessi esistenti
al mondo. L’identità dei molluschi in quanto phylum non è mai
stata discussa. Lo stesso Aristotele li aveva riconosciuti come gruppo a sé,
in un primo tentativo di categorizzazione biologica. Ma ne aveva anche riconosciuto
l’ampia diversificazione. Ciò che sorprende quindi è la grande
varietà di morfologie che nascono tutte da una base comune, conservata
in tutte le otto classi che costituiscono il phylum, ma che viene modificata
in funzione delle esigenze della singola specie. Alla base di ciò vi è
sicuramente una grande plasticità genetica che ha permesso loro di conquistare
e colonizzare tutti gli ecosistemi presenti sulla terra, dai fondi abissali
fino alle cime più alte e desertiche della terraferma.
Spiegare in parole semplici il phylum Mollusca è quindi difficile. Soprattutto
per certi taxa è necessario addentarsi nelle problematiche più estreme
dell’anatomia e fisiologia. Basti pensare alla torsione degli organi interni
nei gasteropodi, alle diverse forme che la conchiglia può avere ma tutte
riconducibili ad una spirale logaritmica con passo costante, all’evoluzione
del sistema nervoso nei cefalopodi paragonabile a quella di noi vertebrati,
e così via.
Esaminare anche solo a grandi linee tutte queste tematiche in questa sede non
è possibile e sicuramente fuorviante. Mi limiterò quindi a dare dei
semplici … “suggerimenti” per valutare con la giusta ottica
quale sia il contributo di questi animali alla fauna marina.
Il corpo dei molluschi è sempre a simmetria bilaterale ed è
diviso in due porzioni, capo e tronco. Al livello del capo sono riconoscibili
l’apertura orale e diverse strutture peduncolate, il più delle volte
con funzione sensoria. All’interno della cavità orale si colloca
la radula, una sorta di grattugia attraverso la quale i molluschi grattano sul
substrato per asportare il cibo. Essa si compone di una piastra sulla quale
si collocano dei dentelli dalla forma e grandezza delle più varie. Al livello
del tronco è presente il piede, una massa muscolare e lacunare, utilizzata
per il movimento, e la cavità palleale. Questa è formata dal ripiegamento
su se stesso del mantello, un tessuto monostratificato che avviluppa tutto il
corpo e nel quale sono presenti cellule atte alla secrezione di elementi calcarei
(aragonite, calcite, ecc.). All’interno della cavità palleale si
trovano le branchie (ctenidi) e le aperture anale e gonopericardica (relativa
all’apparato escretore e genitale). Per quanto riguarda gli elementi calcarei,
nell’immaginario collettivo essi sono associati alla conchiglia. Quest’ultima
è tuttavia caratteristica solo di alcune classi; in altre gli elementi
calcarei sono rappresentati da spicole e placche di varia forma e lunghezza
che nulla hanno a che vedere con la conchiglia, anche da un punto di vista evolutivo.
Per quanto riguarda la riproduzione, bisogna dire che la più ampia libertà
di scelta è stata data a questo gruppo! Si passa dall’ermafroditismo
contemporaneo al gonocorismo con differenziamento sessuale manifesto, da uova
rilasciate libere nel mezzo acquatico a uova incubate e con forme anche evolute
di cure parentali. In certi gruppi di molluschi la complessità anatomica
dell’apparato riproduttore è tale che la sua struttura è utile
a livello tassonomico per il riconoscimento delle specie.
Ciò che ho tentato di descrivere sinteticamente ora è solo un prototipo,
uno schema che alla fine fa riferimento ai soli gasteropodi, intendo quelli
più noti come i bocconi (Hexaplex trunculus, Stramonita haemastoma,
ecc.). Procedendo oltre si potrà tuttavia constatare, permettendomi una
digressione quasi mistica, come la “Natura” ora si sia voluta divertire,
facendo assumere loro forme quasi … improponibili. Potrà sorprendere
anche il loro numero. La gran parte della gente fa solo riferimento a molluschi
eduli (cozze, vongole, bocconi, patelle, polpi, seppie, ecc.), immaginando che
non ve siano altri. Vorrei sfatare questa convinzione e dare un valore: più
di 130.000 specie viventi. Nel mediterraneo sono quasi 2.000! Questo numero
è destinato a crescere e più avanti ne capiremo le ragioni.
La sistematica dei molluschi è anch’essa molto complessa e risente
di una storia molto antica, che in diversi periodi ha seguito strade differenti
anche in diverse regioni del globo. Forse solo l’entomologia (studio degli
insetti) riesce a giungere allo stesso livello di difficoltà.
Come si è creato questo stato di cose? Bisogna dire che più
categorie di persone (non solo i biologi) entrano nella grande schiera della
Malacologia, la scienza che studia i molluschi. Tutt’altro, i biologi
sono arrivati dopo, ma rispetto a chi? Rispetto ai collezionisti. Negli ultimi
secoli, quando per sempre più gente risultò facile varcare i confini
dei mari nazionali, molti di essi rimasero affascinati dalla grande varietà
e bellezza delle conchiglie e una gran parte si dedicarono al collezionismo.
Per alcuni (pochi per la verità) il collezionismo sfociò in un vero
e proprio studio, e ancor oggi i testi scritti da loro sono delle vere e proprie
pietre miliari nella malacologia mondiale: il Marchese di Monterosato fu uno
di essi, e non deve sorprendere il fatto che fosse un nobile. Proprio perché
nobile, aveva il tempo (e il denaro) per potersi dedicare al collezionismo.
Solo dopo arrivarono i biologi (in ambiente malacologico i cosiddetti accademici)
i quali non trovarono mai facile accesso allo studio delle grandi collezioni
(come quella del defunto Settepassi, la cui immensa raccolta è gelosamente
conservata nel Museo di Storia Naturale di Roma) e i cui mezzi finanziari non
sono mai quelli di un nobile! Non sorprenderà quindi che i più grandi
malacologi sono spesso dei collezionisti, i quali conoscono e apprezzano i molluschi
ancor più dei biologi. La situazione diventò ancor più complessa
con la scoperta, se così si può chiamare, della fotografia subacquea
e dell’immersione in genere. A molti biologi piace stare in laboratorio,
pochi vanno sul campo; quindi, anche in questo caso non è il biologo che
si rifornisce direttamente del materiale di studio, ma lascia che sia il fotografo
o il sommozzatore a raccogliere del materiale. Ciò è importante soprattutto
per i molluschi senza conchiglia e dalla conservazione difficile, come i nudibranchi.
Si potrebbe obiettare che molto più si dovrebbe conoscere dei molluschi,
considerando la gran quantità di gente che si interessa del phylum (accademici,
collezionisti, fotografi subacquei). È anche così, ma tutto ciò
è in realtà un’arma a doppio taglio. I non-accademici parlano
solo di conchiglie, gli accademici parlano poco di conchiglie e considerano
tanti altri caratteri tassonomici per creare una sistematica che possa considerarsi
specchio più o meno reale dell’evoluzione dei molluschi. Ciò
cosa vuol dire? Vuol dire che vi è molta confusione nell’esatta denominazione
di una specie in quanto uno stesso taxon può essere più volte descritto
con nomi diversi; gli stessi raggruppamenti superiori alla specie sono variabili;
un esempio chiarirà ciò: per un puro conchigliologo, le classi dei
molluschi possono essere ridotte a cinque, gli accademici fanno variare quel
numero da 6 a 8!
Con grande dispiacere dei puri conchigliologi (diffusi fra i non-accademici
e rari fra gli accademici), la conchiglia non è un elemento utile per suddividere
le varie classi di molluschi; lo stesso sta progressivamente avvenendo (fortunatamente
in pochi casi) per il riconoscimento a livello di specie. Diventa infatti necessario
prendere dei vetrini, sezionare l’animale e studiarne le parti molli.
In questa sede utilizzerò quella che ritengo sia la sistematica
più idonea e moderna; secondo questa il phylum Mollusca si divide in otto
classi: caudofoveati, solenogastri, poliplacofori, monoplacofori, gasteropodi,
cefalopodi, bivalvi, scafopodi.
@ Caudofoveata
La prima classe di molluschi è sicuramente quella in cui il prototipo descritto
poc’anzi è letteralmente sconvolto. Sono molluschi vermiformi di
colore grigio. La loro forma è un adattamento allo strisciare all’interno
del sedimento, mentre la colorazione è utile per confondersi col colore
del sedimento stesso. I caudofoveati vivono infatti in fondi argillosi e melmosi,
comunque a granulometria prevalentemente sottile, a relativamente grandi profondità:
sono per lo più campionati a partire da qualche centinaio di metri di profondità.
In questi molluschi il capo è ridotto fino ad essere riconoscibile soltanto
per la presenza dell’apertura orale e dello scudo pedale. Questo è
una piccola placca con funzione sensoriale, unico residuo del piede. La regressione
di questa struttura è probabilmente dovuta all’attitudine di questi
animali a condurre vita fossoria ed endogea: essi scavano delle tane dalla morfologia
complessa dalla cui superficie sporge solo la parte posteriore del corpo. In
questa si trova la cavità palleale e le branchie. Il tutto è protetto
da strutture calcaree (spicole) a forma di ago che proteggono la cavità
stessa. Le spicole sono presenti, anche se meno lunghe, su tutta la superficie
del corpo.
I caudofoveati si nutrono di piccoli organismi che raschiano dal sedimento con
la radula. Per quanto riguarda la riproduzione, non è ancora ben nota.
Sono comunque molluschi a sessi separati (gonocorici) con differenziamento sessuale
interno, non vi è traccia di organi copulatori e la fecondazione dovrebbe
essere esterna. Nulla si sa dello sviluppo larvale.
La storia di questa classe è piuttosto travagliata. Erano una volta inclusi,
insieme a solenogastri e poliplacofori, nella classe degli anfineuri, poi nominata
aplacofori. Successivamente i poliplacofori sono stati separati da questo gruppo
e alla classe restante, formata da caudofoveati e solenogastri, è stato
dato il nome del secondo gruppo. Solo studi successivi più attenti all’anatomia
interna hanno permesso di riconoscerne l’identità istituendo una
nuova classe. Tutto ciò ha portato ad allontanarsi dalla primitiva concezione
che voleva i caudofoveati come i molluschi più primitivi. In realtà
i caudofoveati conservano molte caratteristiche di primitività, ma nello
stesso tempo sono un gruppo isolatissimo all’interno del phylum, separatosi
dal “ramo principale” ai primordi dell’evoluzione dei molluschi
stessi. Metaforicamente potremmo dire che sono i cugini meno fortunati.
I caudofoveati sono diffusi i mari del mondo. L’unico fattore
limitante fino a questo momento riconosciuto è la salinità, che non
deve essere inferiore al 33‰. Nei mari italiani sono state riconosciute
fino a questo momento quattro specie. Ma il loro numero è destinato a salire
grazie all’intensificarsi degli studi sui fondali batiali ed abissali
nei quali, in alcune regioni del globo, formano popolazioni estremamente dense.
@ Solenogastres
Con i solenogastri continua la serie delle forme “non classiche”.
Questi sono molluschi vermiformi come i precedenti. Tale convergenza evolutiva
nella forma ha portato in passato, come già menzionato, a riunire in un’unica
classe aberrante caudofoveati e solenogastri. Lo studio della morfologia e dell’anatomia
ha permesso di riconoscerne l’identità separata.
Possono essere lunghi fino a 20 cm e presentano colorazioni molto varie, spesso
fortemente appariscenti. Anche qui gioca un ruolo fondamentale il substrato
sul quale essi per lo più vivono: idrozoi e antozoi i cui polipi costituiscono
il cibo prediletto dei solenogatri. L’aspetto vermiforme deriva dall’attitudine
a strisciare fra i rami dei celenterati. Le cellule urticanti dei celenterati
passano inesplose fino all’intestino da cui vengono eliminate, grazie
probabilmente ala produzione di una qualche sostanza (probabilmente una proteina)
che disattiva l’apertura delle cnidocisti). Solo qualche specie si ciba
di piccoli organismi bentonici.
La parte anteriore del corpo, così come nei caudofoveati, non è ancora
ben definita e si riconosce soltanto per la presenza dell’apertura orale
al cui interno è presente la radula. I denti che la compongono hanno forma
e disposizione differenti, caratteri dipendenti dalla dieta della specie in
considerazione. Non sono presenti strutture tentacolari, comunque peduncolate.
Il piede non è regredito come nei caudofoveati, ma comunque profondamente
modificato rispetto al nostro prototipo. Non è altro infatti che una sorta
di solco ventrale, unica parte della superficie dell’animale non coperta
dal mantello, all’interno del quale si differenziano diverse pliche longitudinali
attraverso le quali i solenogastri strisciano sui rami dei celenterati. Non
vi sono contrazioni muscolari alla base di questo movimento; esso avviene attraverso
il solo battito delle ciglia portate da cellule che rivestono le pliche.
Non esiste conchiglia, ma il mantello produce delle placche di natura aragonitica
provviste di formazioni spinescenti.
La cavità palleale è fortemente regredita ed ha lasciato nel corso
dell’evoluzione un residuo anteriore ed uno posteriore, che ospita gli
sbocchi genitali e l’ano. Mancano anche gli ctenidi e l’assunzione
dell’ossigeno avviene probabilmente per diffusione attraverso la superficie
del corpo.
I solenogastri sono tutti ermafroditi contemporanei insufficienti; ciò
vuol dire che un individuo ha contemporaneamente gli apparati maschile e femminile,
ma non è permessa l’autofecondazione. La fecondazione delle uova
è interna. Il loro sviluppo è esterno e si origina una larva planctonica
detta pericalimma o stenocalimma.
Le specie mondiali conosciute di solenogastri sono circa 180 e sono ripartite
in quattro ordini dai nomi impronunziabili: Pholidoskepia, Neomeniamorpha, Sterrofustia,
Cavibelonia (!). Nei mari italiani sono state trovate fino a questo momento
12 specie, ma il loro numero è destinato ad aumentare visto il ritrovamento
di altre forme nel resto del Mediterraneo.
@ Polyplacophora
Detti anche chitoni o loricati, i poliplacofori sono il primo gruppo di molluschi
di cui i più attenti osservatori in mare hanno sicuramente una esperienza
diretta. I chitoni sono appiattiti in direzione dorso-ventrale e sul dorso portano
una sorta di scudo formato dall’articolarsi di più placche. Vivono
dalla superficie del mare fino a grandi profondità, soprattutto sui substrati
duri (fondali rocciosi o ghiaiosi), mentre quelli abissali sono adattati a vivere
su fondi argillosi, ma molto compatti.
Il loro elemento caratteristico sono proprio le 8 placche dorsali
prima menzionate che insieme formano la cosiddetta lorica. Le placche hanno
forma e struttura differente passando dalla porzione anteriore a quella posteriore
dell’animale ed insieme svolgono una efficiente funzione difensiva. Si
potrebbe considerare da un punto di vista funzionale come la conchiglia dei
poliplacofori, ma non è mai stata dimostrata l’omologia fra la lorica
dei poliplacofori e la conchiglia dei gruppi successivi.
Attorno alla lorica è visibile il perinoto, una cuticola con scaglie ed
aculei calcarei che ricorda quella dei solenogastri. In alcune specie la cuticola
è tanto sviluppata da nascondere quasi o del tutto la lorica.
La parte cefalica non è ancora ben differenziata, ma sono riconoscibili
un numero maggiore di strutture rispetto alle due classi precedenti. Si distingue
infatti un disco cefalico al centro del quale si colloca l’apertura orale
con la radula. Questa è utilizzata dai chitoni per strappare il cibo dal
substrato, rappresentato più che altro da alghe; hanno quindi una dieta
prettamente erbivora, pur esistendo specie carnivore predatrici.
Il piede è ben sviluppato e ricorda quello del nostro prototipo: ampio
e massiccio, a mo’ di suola strisciante. Anche la cavità palleale
è fortemente sviluppata, arrivando a circondare tutto il piede, dalla parte
interna del mantello. Gli ctenidi non sono due, ma in alcune specie possono
arrivare fino al numero di 88 coppie (!). Lo scambio di ossigeno avviene tramite
una corrente d’acqua che entra nella porzione anteriore del corpo ed esce
da quella posteriore.
Gli organi di senso sono sviluppati e sono presenti dei cosiddetti occhi della
conchiglia o, più propriamente, megalesteti, i quali hanno la funzione
di ricevere lo stimolo luminoso e quindi riconoscere almeno il giorno dalla
notte.
I poliplacofori sono per lo più gonocorici, cioè a sessi separati
senza dimorfismo sessuale manifesto. Rari sono i casi di ermafroditismo. La
fecondazione è esterna, precisamente nella cavità palleale. Nella
maggior parte dei casi le uova sono rilasciate sul fondale come cordoni o ammassi
gelatinosi, da queste si origina una larva planctonica detta pseudotrocofora.
In alcuni casi questo stadio non è chiaramente osservabile in quanto le
uova sono custodite fino alla nascita di un piccolo “cucciolo” nella
cavità palleale o nei condotti genitali della femmina.
L’etologia di questi animali comincia ad essere ben nota.
Non è comunque facile osservarli in quanto animali notturni e sciafili,
prediligendo luoghi oscuri, comunque non in piena luce. Molte persone avranno
visto i chitoni, quando disturbati, assumere un atteggiamento difensivo e di
protezione appallottolandosi completamente su stessi, in maniera tale da lasciare
scoperta all’esterno solo la lorica. Inoltre, presentano il fenomeno dell’homing.
Ciò consiste nel tornare sempre nello stesso punto (che può essere
un incavo nella roccia o una fessura scavata lentamente dall’animale nella
roccia) dopo che si è andati a caccia del cibo. Non è ancora chiaro
come i chitoni possano riconoscere lo stesso sito (la propria casa), ma esso
può rimanere lo stesso anche per tutto il ciclo vitale dell’individuo
(circa 3-6 anni).
Vorrei inoltre ricordare come in alcune regioni del globo (America Centrale,
stati meridionali degli USA) alcune specie di chitoni piuttosto grandi vengano
utilizzate come fonte di cibo per l’uomo.
Si conoscono circa 630 specie nel mondo di cui 24 specie nei mari italiani (29
nel Mediterraneo). La classe si suddivide in due ordini: Lepidopleurida (quasi
tutti abissali) e Chitonida.
|