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venerdì 8 giugno 2012
Giornata Mondiale degli Oceani per difendere gli stock
Oceano Atlantico o Pacifico o Indiano? Su una confezione di pesce surgelato, alla voce “Provenienza” si leggono solo espressioni generiche. Poche parole dietro a cui si nascondono spesso situazioni di sovra sfruttamento dei mari: pesca eccessiva e con metodi poco sostenibili. Quest’anno la Giornata Mondiale degli Oceani, che si festeggia oggi, arriva mentre è in corso la discussione sulla riforma della Politica Comune della Pesca dell’Unione Europea. I mari del nostro continente, infatti, sono a rischio spopolamento e il rinnovamento delle regole, nelle intenzioni del Commissario agli Affari Marittimi Maria Damanaki, si annuncia “radicale”: “Occorre agire immediatamente per riportare tutti i nostro stock a livelli di sicurezza e preservarli per le generazioni presenti e future. Solo a queste condizioni i pescatori potranno continuare a pescare e a trarre un adeguato sostentamento dalle loro attività”.
I punti principali della riforma, messi nero su bianco dalla Commissione Europea poco meno di un anno fa, puntano a cambiare un sistema vecchio di dieci anni che, usando le parole di Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenepace, “è stata un totale fallimento”. La stessa UE ammette che “l’88 % degli stock sfruttati nelle acque comunitarie è sottoposto a catture superiori alla capacità di ricostituzione. In molti casi si pescano notevoli quantitativi di esemplari giovani, catturati prima della maturità sessuale”. La causa sta nella “sovracapacità della flotta da pesca europea. Ci sono troppi pescherecci per una risorsa in diminuzione”.
La proposta della Commissione consiste nel definire dei meccanismi per adeguare quantitativamente la flotta alla risorsa disponibile e tarare gli obiettivi in senso sostenibile, in modo da mantenere stock sani. Si prevede anche il divieto dei rigetti in mare dei pesci catturati accidentalmente, che oggi costituiscono il 23% del pescato totale, e il sostegno alla pesca artigianale, che di solito ha un impatto minore sull’ecosistema marino.
Uno dei nodi più dibattuti sta nel sistema delle concessioni, che “verranno ripartite dagli Stati membri secondo modalità trasparenti e conferiranno ogni anno ai rispettivi titolari il diritto a una percentuale delle possibilità di pesca nazionali”. Quote di cattura che si potranno affittare o scambiare tra operatori e che, secondo Sebastiano Venneri, portavoce del tavolo di coordinamento delle associazioni ambientaliste sulla riforma della pesca (Greenpeace, Legambiente, Marevivo, OCEAN2012 e WWF), “rischierebbe di concentrare la pesca nelle mani di pochi grandi gruppi imprenditoriali a scapito della piccola pesca. È chiaro che con questo sistema sarebbe più facile controllare poche grandi imbarcazioni piuttosto che tanti pescherecci, ma è un modo brutale di gestire il settore”. Si prevedono poi limiti di pescabile per le diverse specie che “dovrebbero entrare in vigore entro il 2015, come stabilito, e non nel 2020, come vorrebbero molti”.
Inoltre, fa notare Giorgia Monti, bisognerebbe anche definire le quote rispettando il parere dei comitati scientifici. La situazione della pesca del tonno, al centro dei rapporti annuali di Greenpeace, è significativa: “La Comunità scientifica nel 2007 diceva che non si potevano pescare più di 15.000 tonnellate di tonno rosso. La Commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell’Atlantico ha fissato il limite a 30.000 tonnellate e si è poi scoperto che ne erano state pescate in tutto 60.000 per via della pesca illegale”.
Necessario poi, soprattutto in un Paese come l’Italia, in cui il settore è composto da tanti piccoli pescherecci, il sostegno alla pesca artigianale ipotizzato dalla Commissione Europea, che, continua la responsabile Mare di Greenpeace, “è più rispettosa dell’ecosistema e più sostenibile dal punto di vista sociale e dell’occupazione”. Le associazioni ambientaliste sono al lavoro con il Ministro delle Politiche Agricole e della Pesca Mario Catania per valorizzare il pescato Made in Italy: “Ci stiamo impegnando - spiega Venneri - per rendere più remunerativo per i pescatori italiani lavorare sulla tracciabilità del prodotto. Un sistema che giocherebbe a favore dell’assetto diffuso della pesca italiana, fatta di tanti piccoli operatori, e diversa dal sistema industriale di Francia e Spagna”.
Fonte: LA STAMPA.it
News controllata da: Ernesta LA FACE
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