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mercoledì 6 gennaio 2010

Meraviglie dell'estrema frontiera della Terra


E' partito il conto alla rovescia per il censimento delle specie marine.

«Tutto quello che riusciremo a riportare indietro sarà una specie di bonus».
Se la cava così l’inglese Bramley Murton, uno dei ricercatori del consorzio internazionale «InterRidge» che esplora l’estrema frontiera della Terra. Ma non è una battuta. Laggiù non ci sono foreste, sabbie o ghiacci. C’è invece un pianeta nel pianeta, a migliaia di metri sotto di noi, sepolto da un macigno liquido che lo rende non soltanto invisibile, ma anche alieno. In quegli abissi l’acqua bolle a 500 gradi e si verificano periodiche nevicate di batteri mostruosi, capaci di tirare avanti con diete a base di ferro e di altri minerali. I fondali oceanici, bui e gelidi, sono infernali e nello stesso tempo sono il sogno proibito di visionari come Murton.

Il prossimo marzo il suo piccolo sottomarino robotizzato, battezzato «AutoSub6000», scenderà a oltre 6 mila metri in un’irrequieta valle di quel mondo, ostile all’uomo quanto un cratere lunare o una pianura marziana: si infilerà nel «Cayman through», un rift tra la Giamaica e le isole Cayman, e andrà a curiosare tra le le fratture rocciose continuamente agitate da sbuffi di lava e si struscerà sui camini termali, bitorzoluti sifoni bollenti in cui si agitano creature più bizzarre di un ET. Se la biodiversità di tante zone della terraferma ci sfugge ancora, lì l’enciclopedia della vita è un libro di pagine vergini che aspettano un Livingstone e un Darwin. Ecco perché qualunque cosa si scoprirà sarà come benedetto come un bonus.

L’avventura è sì emozionante, ma - come si dice - è una goccia nell’oceano. Mentre sulla terraferma un ventennio di lavoro ha fecondato l’idea del professore di Oxford Norman Myers, permettendo l’individuazione di 25 «punti caldi» in cui la natura dimostra di dare il meglio di sé, le distese grigio-azzurre che coprono i due terzi della nostra palla di roccia restano la patria dei misteri. Dopo tanto sudore, per esempio, Callum Roberts della University of York è riuscito a catalogare appena 10 aree coralline, che di quelle esistenti rappresentano il 15%. E una frustrazione simile deve aver provato Lisa Ballance del Noaa americano (National oceanic and atmospheric administration), mentre tentava di stilare un elenco completo dei cetacei, dal Pacifico all’Atlantico.

Sono imprese che umiliano le capacità standard di osservazione e di calcolo e nemmeno lo spettacolare «Census of marine life» - il primo censimento della vita marina - potrà fornire risposte sufficienti. Da 10 anni oltre 2 mila scienziati di 82 nazioni inseguono branchi di pesci e insediamenti di crostacei e studiano popolazioni di mammiferi e distese di plancton per identificare la folla degli abitanti dei mari e il prossimo ottobre, a Londra, si aspetta una rivelazione.

Gli ottimisti sostengono che sarà l’inizio dell’era dell’«oceano trasparente», con sguardi su habitat considerati da sempre inaccessibili, come le distese sotto l’Artico. Secondo le prime anticipazioni, sono state ammassate informazioni su 250 mila specie e le ricerche proseguono. Ma nemmeno questa impresa - con le inedite descrizioni del «White Shark Café», un punto del Pacifico dove gli squali si incontrano periodicamente, o dei giardini di spugne mediterranee, agganciate a sbuffi di metano - basterà.

Non bisogna dimenticare - sottolineano gli scienziati - che, quando si parla dei mari, ci si riferisce a un universo misterioso e soprattutto abbandonato a se stesso, in preda allo sfruttamento: appena l’1%, infatti, è considerato «area protetta». Il Pianeta Acqua rischia di agonizzare prima ancora di svelarsi al popolo del Pianeta Terra.

Fonte: La Stampa

News controllata da: Ernesta LA FACE


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