venerdì 10 aprile 2009
Studiare le alghe per prevedere il futuro del pianeta
I ricercatori di un'ampia collaborazione internazionale guidata dal Joint Genome Institute (JGI) del Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti (DOE) e dal Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI) hanno decodificato i genomi di due ceppi di alghe, riuscendo a identificare i geni che permettono l'assorbimento del carbonio e il mantenimento del suo delicato equilibrio negli oceani.
I risultati,riportate sull'ultimo numero della rivista “Science”, a firma di Alexandra Z. Worden dello MBARI, consentiranno di chiarire alcuni fondamentali processi cellulari collegati alla produzione di biocombustibili derivati dalle alghe, obiettivo dei ricercatori del DOE.
Lo studio ha utilizzato campioni di due specie di alghe fotosintetiche del genere Micromonas, geograficamente distinte, provenienti l'uno dal Pacifico meridionale, l'altro dalla Manica. In ciascuno, le analisi hanno identificato approssimativamente 10.000 geni, compressi in genomi di circa 22 milioni di nucleotidi.
"Il sequenziamento del genoma di Micromonas e l'analisi comparativa successiva con altre alghe hanno permesso di individuare il pool di geni necessari non solo per un efficace ciclo del carbonio delle alghe verdi, ma anche ad attribuire alcune caratteristiche che sono comuni alle piante della terraferma”, ha commentato Eddy Rubin, direttore del DOE JGI.
Le piccole Micromonas, che misurano meno di due micron didiametro (pari a un cinquantesimo del diametro di un capello umano), rappresentano alcune delle poche specie algali diffuse in tutti gli oceani, dai tropici ai poli. La loro produttività, che fornisce sostentamento a molte specie marine, unita alla loro capacità di sequestrare il carbonio, le rendono un oggetto privilegiato di studio da parte di biologi marini.All'interno del codice genetico, in particolare, vi sono indizi dei meccanismi di fotosintesi che hanno portato il mondo alla condizioni che constatiamo oggi poiché condividono alcune caratteristiche con le alghe ancestrali che miliardi di anni fa cominciarono i processi che hanno portato alla colonizzazione del pianeta da parte delle piante fotosintetiche.
In precedenti studi, Worden e colleghi hanno mostrato come i picoeucarioti, tra cui Micromonas, comprendano in media solo un quarto delle cellule che costituiscono il picofitoplancton dell'oceano Pacifico, ma siano ben presenti in misura ben maggiore nel ciclo del carbonio.La mancanza di una consistente membrana cellulare di tali cellule le rende facilmente digeribili e quindi altrettanto facilmente sequestrabili dalla "pompa biologica", l'insieme dei processi che permettono alle alghe di catturare il carbonio atmosferico in superficie e di trasportarlo negli strati più profondi dell'oceano.
"Grazie alla comprensione dei geni utilizzati da specifici ceppi di alghe e in determinate condizioni, possiamo comprendere le ragioni del successo di un gruppo sull'altro e con ciò prevedere in modo più efficace i futuri scenari che potrebbero scaturire dall'attuale cambiamento climatico globale”, ha concluso Worden.
Fonte: Le scienze
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