martedì 6 gennaio 2009
Dal corallo ai microbi ecco gli alieni dello Ionio Colonie di microrganismi nei laghi sottomarini
Se parliamo delle barriere coralline, il pensiero vola all’Australia o al Mar Rosso, ma l’esplorazione dei fondali del Mar Ionio compiuta negli ultimi 5 anni ci ha restituito una sorpresa clamorosa. Davanti a Santa Maria di Leuca è stata trovata, infatti, in corrispondenza dell’«Apulian plateau», una vera e propria distesa di coralli tra 300 e 1200 metri di profondità. Se parliamo delle barriere coralline, il pensiero vola all’Australia o al Mar Rosso, ma l’esplorazione dei fondali del Mar Ionio compiuta negli ultimi 5 anni ci ha restituito una sorpresa clamorosa. Davanti a Santa Maria di Leuca è stata trovata, infatti, in corrispondenza dell’«Apulian plateau», una vera e propria distesa di coralli tra 300 e 1200 metri di profondità. Se parliamo delle barriere coralline, il pensiero vola all’Australia o al Mar Rosso, ma l’esplorazione dei fondali del Mar Ionio compiuta negli ultimi 5 anni ci ha restituito una sorpresa clamorosa. Davanti a Santa Maria di Leuca è stata trovata, infatti, in corrispondenza dell’«Apulian plateau», una vera e propria distesa di coralli tra 300 e 1200 metri di profondità.
L’idea di scandagliare i fondali era partita dal ritrovamento nelle reti, da parte di alcuni pescatori pugliesi, di frammenti di coralli vivi che si pensava non facessero più parte da oltre 15 mila anni della fauna dei nostri fondali. Così è nata la missione della nave oceanografica «Universitatis»: grazie a una ricca strumentazione geofisica e acustica, tra cui un siluro sonar che scandaglia il fondale, e «Pluto», un piccolo robot subacqueo teleguidato, ci ha restituito immagini molto nitide dei fondali.
Per la prima volta - com’è stato spiegato al convegno «Quali mari italiani», organizzato a Lecce dal Consorzio nazionale interuniversitario per le Scienze del Mare - è stata documentata la presenza di esemplari viventi di colonie di coralli «bianchi», ritenuti scomparsi dal Mediterraneo a partire dalla fine dell’ultimo periodo glaciale: le colonie di questi organismi formano, come le barriere coralline più celebri, dei veri e propri «edifici» biocostruiti alti qualche metro e lunghi diverse decine.
I coralli «bianchi» sono presenti in diverse aree oceaniche e sono oggi nel cono dell’attenzione della comunità scientifica internazionale per il ruolo fondamentale che rappresentano per la vita marina in profondità.
L’intrico dei loro rami e la ricca fauna che vi si insedia costituiscono, infatti, una vera e propria oasi di vita nel buio delle acque profonde e sono un rifugio e l’area di riproduzione di un grande numero di organismi. Ecco perché la scoperta conferma la ricchezza biologica di questa zona del Mediterraneo. Non solo. La parte più profonda «rifornisce» la parte più superficiale.
«I giovani di alcune specie di pesci e crostacei trovano nei banchi corallini un ambiente protetto e ricco di nutrienti. Danneggiarli con la pesca a strascico significa, quindi, minare una fondamentale risorsa ittica», spiega Cesare Corselli dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, impegnato a studiare la paleo-oceanografia del «Mare Nostrum». E aggiunge: «Anche il Wwf ha proposto l’istituzione di un’area marina protetta di profondità nella zona dell’Apulian plateau».
Le ricerche più recenti stanno rivelando un’inaspettata ricchezza di specie lungo le coste ioniche e decine di specie, mai osservate in precedenza in questo mare, sono state segnalate: per esempio il verme Sphaerosyllis boeroi e lo cnidario Zanclea giancarloi. E non basta. Lo Ionio, nelle sue depressioni maggiori, conserva laghi sottomarini ipersalini: qui sono state trovate forme di vita microbica che si ritenevano impossibili in simili condizioni di profondità e scarsità di ossigeno.
Se il progetto «Aplabes» ha studiato i coralli «bianchi» nello Ionio settentrionale, con il progetto «Biodeep» è stato esplorato il lago sottomarino Bannock, sempre nello Ionio, ma a un centinaio di miglia a Nord delle coste libiche. Si trova a 3300 metri di profondità, in un’area dove convergono le placche continentali europea ed africana.
Il bacino, che era stato scoperto nell’84 da un team dell’Università di Milano, è uno dei grandi laghi ipersalini anossici della Dorsale Mediterranea: la combinazione di pressione elevata, condizioni ipersaline e anossia danno luogo a condizioni estreme, ritenute fino a poco tempo fa incompatibili con qualsiasi forma di vita. E invece non è così. Sono state individuate comunità di microbi che si sono perfettamente adattate a vivere in habitat tanto particolari. E’ una scoperta che ha importanti implicazioni e a vasto raggio, sia per la ricerca della vita in pianeti extraterrestri sia per la ricerca di nuove sostanze biologiche per applicazioni che vanno dall’agricoltura all’industria farmaceutica.
Non è un caso che molte missioni spaziali abbiano evidenziato la presenza, attuale o passata, di ambienti ipersalini su Marte e su altri corpi celesti: è stata, per esempio, dimostrata la presenza di un oceano ipersalino sotto la superficie di Europa, uno dei satelliti di Giove.
L’attivissima vita microbica nel lago sottomarino di Bannock, quindi, costituisce un ulteriore sostegno all’ipotesi che forme di vita di questo tipo possano esistere in analoghi ambienti al di fuori della Terra.
«La ricerca del XXI secolo sarà quella in mare, ultima frontiera del Pianeta, come lo spazio sarà la nuova frontiera dei secoli futuri - spiega Corselli -. E’ dal mare che la vita ha origine ed è nel mare che l’uomo deve cercare le risorse per la propria sopravvivenza, a partire dalla sua biodiversità e dalla sua capacità di modellare il clima».
Fonte: La Stampa-Le scienze
News controllata da: Ernesta LA FACE
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