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giovedì 20 novembre 2008
In un verme marino l'origine della vista
Lo studio di un verme marino considerato dai biologi un "fossile vivente" ha permesso di chiarire alcuni aspetti cruciali degli organi rudimentali di percezione della luce. Tutte le larve degli invertebrati marini – vermi, spugne e meduse – possiedono i più semplici occhi del regno animale. Tali organi, infatti, consistono in non più di due cellule: un fotorecettore e una cellula pigmentata. Questi rudimentali occhi, chiamati macchie oculari, sono indicate da Charles Darwin come i primi ad apparire nell’evoluzione animale: essi non consentono una formazione dell’immagine ma permettono all’animale di percepire la direzione di provenienza della luce. Tale capacità è fondamentale per la fototassi, ovvero la capacità di nuotare verso la luce che mostrano molte larve di zooplancton. Il movimento dell’enorme quantità di plancton degli oceani rappresenta il più massiccio trasporto di biomassa del pianeta. "Per lungo tempo nessuno è riuscito a comprendere in che modo molti organismi potessero mettere in atto la fototassi basandosi soltanto sul loro semplice occhio è sull’altrettanto rudimentale sistema nervoso”, ha spiegato Detlev Arendt, che ha guidato la ricerca presso lo European Molecular Biology Laboratory (EMBL) e ha firmato l'articolo di resonto sulla rivista "Nature". "Tutti in sostanza hanno preso per buona l’ipotesi che i primi occhi del regno animale si siano evoluti esattamente con questo fine, e studiare la fototassi pertanto è come gettare uno sguardo sui primi passi dell’evoluzione dell’organo della vista.” Studiando le larve del verme marino Platynereis dumerilii, gli studiosi hanno trovato il nervo che connette il fotorecettore della macchia oculare e le cellule coinvolte nel movimento. Secondo il modello che è stato formulato, il fotorecettore percepisce la luce e la converte in segnale elettrico che viaggia lungo la proiezione neurale, che realizza la connessione con un fascio di cellule che terminano direttamente con una serie di ciglia, le sottili estroflessioni che permettono di spostare l’acqua per nuotare. La seconda cellula della macchia oculare, la cellula pigmentata, conferisce la sensibilità direzionale alla luce: essa infatti assorbe la radiazione e getta un’ombra sul fotorecettore. La forma di questa ombra varia in relazione alla posizione della sorgente di luce ed è in questo modo che l’informazione viene tradotta al fine di orientare il movimento. (fc)
Fonte: Le scienze
News controllata da: Ernesta LA FACE
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