mercoledì 27 maggio 2009
Balene, orche e pesci giganti La vita sotto i mari nel passato
Balenottere azzurre, orche e squali in abbondanza al largo delle coste della Cornovaglia. In Nuova Zelanda, nello stesso periodo - parliamo dei primi dell'800 - una vita marina altrettanto ricca e diversificata, con 27mila balene australi, in quantità 30 volte maggiore rispetto a quello che rimane oggi. Esemplari che solcavano le acque dell'America del Nord talmente enormi che le loro ossa si usavano al posto del legno per costruire case. Tutto questo in tempi remoti, prima che la pesca su larga scala, accoppiata all'inquinamento e a uno sfruttamento delle risorse non certo oculato, cambiasse il panorama della vita acquatica in modo decisivo, mettendo a rischio diverse specie e facendone letteralmente "restringere" molte altre.
Ad aprire una finestra sul passato, per dare uno sguardo unico su quella che era la vita negli oceani e nei mari del mondo nei secoli scorsi, sono ora gli scienziati del Census of Marine Life, che si riuniscono a Vancouver dal 26 al 28 maggio per la seconda conferenza dedicata al passato degli oceani. Una tappa di rilievo - dopo la prima edizione di Oceans Past del 2005 in Danimarca - in vista dell'appuntamento clou del 2010, quando, a Londra, si farà il punto su dieci anni di ricerca del Census of Marine Life, consorzio internazionale scientifico che si propone di catalogare la vita marina nella sua diversità, abbondanza e distribuzione.
Mettendo insieme un'enorme quantità di dati da fonti molto diverse - vecchi registri di bordo, folklore, testi letterari, documenti legali, antichi mosaici, trofei per gli esemplari più grossi conquistati nelle gare di pesca e perfino menu di ristoranti - su un arco temporale molto ampio, esperti da tutto il mondo, soprattutto storici, hanno tratteggiato un quadro di grande abbondanza e varietà, che sfida le moderne nozioni di ciò che oggi consideriamo normale, a cui siamo abituati, pensando alla vita marina. Perché l'osservazione basata solo su dati recenti per forza di cose "altera la percezione", spiega Andy Rosenberg della Università del New Hampshire, coordinatore del progetto sulla storia della popolazione marina animale (HMAP) del Census, che presiederà la conferenza di Vancouver.
Si tratta del "primo e più completo quadro davvero globale, e si basa su studi che vanno dal Mediterraneo al Mar Rosso, dalla Nuova Zelanda ai Caraibi, dal mare del sud della Cina a Samoa e altro ancora", chiarisce a Repubblica.it il professor Poul Holm, del Trinity College di Dublino, presidente del progetto HMAP. E riserva molte sorprese: come il fatto che la pesca umana e l'impatto sulla vita marina vicino alle coste iniziò in maniera massiccia durante il Paleolitico medio, molto prima di quanto non si credesse. O che i pescatori iniziarono a solcare i mari in modo esteso nel Medioevo, quando i pesci di acqua dolce di grossa taglia cominciarono a scomparire.
Una delle maggiori rivoluzioni nella pesca, secondo la storica italiana Maria Lucia De Nicolò, dell'Università di Bologna, arrivò a metà del '600, quando le tecniche divennero più sofisticate e le navi iniziarono a trascinare in coppia le reti. Nel tempo, rivela il censimento, molto è andato perduto e le dimensioni di molti pesci sono calate in modo drammatico. Se si considera, ad esempio, la taglia media degli esemplari che si sono aggiudicati il trofeo come i più grossi nelle gare di pesca a Key West in Florida, tra gli anni 1956 e il 2007, si osserva un calo brusco, passando da 20 chili a soli 2,3.
L'ipotesi degli studiosi è che nei secoli la biodiversità abbia sofferto più in mare che sulla terra. E questo non può che far riflettere, in termini di sostenibilità e programmazione: capire la portata dei cambiamenti nel corso del tempo e i fattori che hanno provocato il declino è la chiave per interpretare quello che sta accadendo oggi, e fare proiezioni future. "Ora sappiamo che la distribuzione e l'abbondanza della popolazione animale marina è mutata drammaticamente nel corso del tempo. Qualche specie si è estinta, interi ecosistemi si sono impoveriti, forse senza rimedio", sottolinea il professor Holm. E per questo, comprendere il passato è "essenziale per sviluppare e implementare piani di recupero per gli ecosistemi danneggiati", conclude lo scienziato.
Fonte: La Repubblica
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