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  Se@News

martedì 20 agosto 2013

Incontri ravvicinati nella casa dei cetacei


Inviato a bordo della barca della fondazione che censisce la fauna del Mar Ligure
A sei ore di navigazione dalle spiagge c’è un mondo affascinante in cui zifi, stenelle, balenotteri e capodogli sono signori assoluti
Il respiro della balena è un soffio rauco e umano. È salita in superficie a guardare il mondo e non poteva immaginare di trovarci proprio qui, così ben appostati. Ora ci concede la sua grazia. Non è facile stabilire chi sia il più stupefatto dall’incontro, mentre ci guardiamo negli occhi. Lei è una femmina sinuosa lunga 18 metri. Creatura ancestrale, il secondo più grande animale vivente. Mangia 500 chili di gamberetti al giorno. Lascia nel mare della pelle bianca, sfregando e viaggiando. Grosse scaglie che puoi raccogliere in mano, una ad una. Ma già inarca la pinna e sbuffa, spruzza nell’aria un odore simile al concentrato di 120 pescherie. «Down!», urla il capitano. Lei si immerge senza un saluto.

La prima che avvistiamo è una balena timida. Rotta a Sud Ovest, quaranta miglia al largo, fra Capo Mele, Alassio e la Corsica. Dove i telefoni restano scollegati e nemmeno un lembo di terra, all’orizzonte, può renderti davvero sicuro di dove sei. Qui il mare è di un blu abisso. La profondità varia fra 2.000 e 2.500 metri. Siamo a casa dei cetacei. Davvero questo è il loro santuario, non è una trovata turistica. Delfini, zifi, balenottere comuni, capodogli e grampi vivono qui, a sei ore di navigazione dalle spiagge. Lo abbiamo scoperto in tre giorni per mare con i ricercatori di «Cima Foundation Research», l’ennesima dimostrazione che l’Italia non sa valorizzare le sue idee e risorse migliori.
Partenza dalla darsena di Savona alle 14 di sabato. Il Leon Pancaldo è un 18 metri a due alberi in mogano e teak, varato negli Anni Ottanta da un miliardario che sognava di fare il giro del mondo. Ma poi si è fermato a Gibilterra. La barca è stata salvata prima dall’Istituto nautico, poi dai ricercatori di Cima, gli unici a fare una mappatura dei cetacei in questa zona. Un progetto da 100 mila euro l’anno che richiama ragazzi da tutto il mondo e può contare su nessun contributo pubblico, praticamente clandestino.
La nostra barca ha un vecchio motore diesel che viaggia a 6 nodi e mezzo senza la minima tracotanza. A bordo siamo in dieci, compresi un dottorando scozzese e tre stagisti che arrivano da Parma, Madrid e Lisbona. Il più vecchio è il vicepresidente di Cima, Luca Ferraris, 44 anni, di mestiere ingegnere. Si occupa di prevenzione e rischi ambientali, ma spende le sue vacanze inseguendo balene.
Molliamo gli ormeggi, lo skipper Francesco Rebagliati dà marcia avanti. Si parte, dribblando l’enorme Costa Crociere attraccata al molo. Il canale 16 delle emergenze gracchia Sos che vanno da Portoferraio a Cannes. Mare increspato. Noi beviamo un caffè in bicchieri di plastica gialla, nell’attesa. Serve un’ora e mezza per raggiungere i mille metri di profondità, dove può incominciare il lavoro.
«Up, up!», urla Aurelie Moulins dal punto di osservazione sull’albero maestro. Originaria di Lione, sposata con un italiano, madre di una bambina piccola, è qui in mezzo al mare perché ama il suo lavoro. «Trecento metri. Up! A ore quattro». La sua attrezzatura professionale richiede almeno tre pezzi imprescindibili: cappellino con visiera, tonnellate di crema solare ad alta protezione e un binocolo di precisione. Il sole picchia fino alle allucinazioni. I riflessi del mare sembrano spade di pesci in battaglia. Ma non sempre sono miraggi.
«Up!», grida ancora Aurelie. Significa adrenalina. Avvistamento. Adesso, a cento metri. I dati vengono subito inseriti in un computer palmare, a terra verranno elaborati. Bisogna avvicinarsi ancora, il più possibile, salire sul gommone e andare a fotografare. Ma Aurelie ora grida «down», purtroppo. Ovvero attesa, alla volte estenuante. Le balene sono andate giù a mangiare calamari o forse a prendersi gioco di noi, non si faranno vedere per un tempo variabile da dieci minuti a un’ora e mezza. Si tratta di prevedere dove e quando riemergeranno dopo lo spuntino.
Ecco come ci siamo trovati faccia a faccia con i primi tre zifi, balene con la pelle graffiata dalle battaglie sottomarine. Ci hanno regalato quattro lunghi «Up», prima di inabissarsi ancora. Gli zifi, alle volte, si meritano appellativi poco simpatici. Si fanno vedere pochissimo. Sono un vero mistero del mare. Massimiliano Rosso, 37 anni, il capo progetto insieme a Aurelie, nutre un amore speciale per loro: «C’è chi li trova brutti, per via delle zanne dei maschi che li fanno assomigliare a cinghialoni. Io penso che siano davvero balene affascinanti, sembrano pirati. Non sappiamo nulla. Hanno una vita di circa 40 anni. In Liguria la popolazione stimata è di 120 esemplari».
Oggi gli zifi sono comprensivi. Massimiliano li chiama per nome. «Ecco Aiace, già avvistato nel 2004», dice alla radio. Quella bianca, invece, è Bonny, la seguiamo per tutto il pomeriggio. Ma quando si stanca delle nostre attenzioni, si immerge e la perdiamo, subito arrivano i delfini, che adorano farsi fare il solletico dalle onde tracciate dalla prua della barca. Giocano con il gommone fino al tramonto.
A cena, zuppa calda e mezzo bicchiere di vino rosso. Si dorme alla deriva, cullati dal vento. Tre stelle cadenti durante il nostro turno di guardia. Sogni agitati. Ma all’alba il mare è immobile, carta da zucchero. Un vero regalo per chi sogna altri avvistamenti. Piccoli incontri imprevisti lungo la navigazione: un materassino rosa, un salvagente da bambini, due palloni da calcio, una farfalla notturna in piena crisi esistenziale (si nasconde sotto la nostra ascella in cerca di un po’ d’ombra). Una libellula addormentata sulla superficie dell’acqua a metà strada fra l’Italia e la Corsica, quattro tartarughe Caretta caretta con un codazzo di pesciolini luminescenti. Passiamo quattro ore dietro a due enormi balenottere comuni. Andare a cercarle è un mestiere bello e complicato. Ci vuole passione, pazienza, rispetto. Assomiglia alla vita.
A bordo c’è anche Stephane Granzotto, un documentarista francese di 40 anni. «È una giornata incredibile - dice - siamo fortunatissimi. Sono già stato nel mare davanti a Marsiglia e in Corsica, quindici giorni di ricerche vane. Questa equipe è fantastica, sono ragazzi fenomenali. Il cuore del mio documentario sui cetacei sarà proprio questo nostro viaggio».
All’ora di pranzo fa così caldo che un tuffo in mezzo al Mar Mediterraneo è obbligatorio. L’acqua è calda. Le nostre gambe sono minuscole ciglia sulla superficie di un’enormità. Spuntano altre balene all’orizzonte. Servono altri scatti, altre attese.
Poi, all’alba del terzo giorno, succede il miracolo. «Pilot wheels, pilot wheels!», urla lo skipper Francesco, all’ultimo turno di guardia. Sono le sei del mattino. Dalla cabina puoi sentire fischi acuti, canti lirici sommersi. Uscendo sul ponte fradicio di umidità, diventano respiri umani sul pelo dell’acqua. Sono le balene pilota, dette anche «globicefali». Stanno borbottando. Animali stranissimi con la testa rotonda, apparentemente più che docili. Sono venuti loro a cercare noi. Ci guardiamo per due ore senza paura, a due metri di distanza.
Le stagiste Caterina Morgado e Diana Horta hanno le lacrime agli occhi, lo scozzese Fraze Comber prepara il caffè. È una colazione davvero speciale. Nel mar Ligure questo tipo di balena viene avvistata in media una volta all’anno. Forse è persino più misteriosa dello zifio. Testoni lucidi che ci studiano e cantano, fino a quando è ora di tornare a casa. Ma è un ritorno lento, felice, pieno di stanchezza e sorprese lungo la rotta. Abbiamo visto in totale 57 cetacei e oltre cento delfini. «Up! Up!», grida ancora Aurelie di vedetta. Un’altra balena ha messo la sua grande faccia al sole. Cosa vorrà dirci?


Fonte: LA STAMPA.it

News controllata da: Ernesta LA FACE


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