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  Gli Articoli di MondoMarino.net
La “Seta del Mare”
di Aida MANCUSO


  
fig.1: Pinna nobilis
© http://www.tuttosantantioco.it
Ci credereste che il Mare, oltre a tutte le cose meravigliose che ci dona, senza riserve e nonostante noi l’oltraggiamo continuamente, ci regala anche una fibra la cui filatura e, quindi, la tessitura, da luogo ad una stoffa senza eguali, una “seta” usata per creare manufatti preziosi? Come fa il Mare a donarcela? Semplice! Attraverso uno dei suoi abitanti: la Pinna nobilis (fig. 1). Essa è il più grande bivalve di tutto il Mediterraneo, la cui lunghezza può raggiungere quasi un metro.

Un tempo molto diffusa, è attualmente una specie protetta che si insedia, in modo particolare, lungo le regioni costiere settentrionali della Sardegna, nelle praterie di Posidonia oceanica e presso il golfo di Taranto. Questo mollusco bivalve si fissa con l’estremità appuntita nel fondo marino, mediante dei filamenti di natura cornea che, al contatto con l’acqua, s’induriscono e, come una sorta di ancora, evitano di farlo trasportare via dalle correnti marine. Questo “ancoraggio” avviene, naturalmente, su di un elemento duro e fisso del fondale, rocce o radici di Posidonia oceanica. Ebbene proprio da questi lunghi filamenti, secreti dalla “ghiandola del bisso”, si ottiene una fibra tessile grezza: il bisso marino. Il termine “bisso”, derivato dal tardo latino byssus e dal greco bussos, a sua volta di origine fenicia, venne successivamente usato anche per indicare un tessuto particolarmente fine e pregiato, ottenuto grazie alla duttilità di questa fibra grezza che permette di tessere una stoffa morbida, dall’aspetto lucido e brillante molto simile alla seta. Ha una particolare colorazione dorata, un riflesso aureo che varia a seconda dell’incidenza della luce che le conferisce una dignità unica. Altra importante caratteristica di questa fibra, è la capacità di trattenere il calore, caratteristica che fu notata da un dottore cagliaritano del XIX secolo, Giuseppe Basso Arnoux, che volle utilizzarla per praticare massaggi, ritenendo che, grazie a questa peculiarità, sarebbero stati più efficaci, dal punto di vista terapico.

La Pinna nobilis, quindi, non è un comune bivalve, ma l’artefice della cosiddetta “seta marina”, così definita sin dall’antichità. Questa “seta” riuscì ad alimentare una fiorente industria tessile presso i Fenici, gli Egizi, i Caldei e gli Ebrei. Da sempre è stata utilizzata per creare vesti di grande pregio destinate esclusivamente a principi, sovrani e grandi sacerdoti:

Con porpora viola e porpora rossa, con scarlatto e bisso fece le vesti liturgiche per officiare nel santuario. Fecero le vesti sacre di Aronne, come il Signore aveva ordinato a Mosè”. Così viene citato nell’Antico Testamento, così come nei Vangeli. Anche il grande poeta Giovanni Pascoli, alludendo alla delicatezza del filato ed alla bravura nel lavorarla, così si esprimeva: “O mano d’oro, le cui tenui dita menano i tenui fili ad escir fiori dal bianco bisso, e sì, che la fiorita sembra che odori”.

La motivazione di tanto prestigio è sicuramente dovuta alla difficoltà nel reperire il bisso, a causa dell’inquinamento marino che ne impedisce la formazione e dei subacquei che sradicano il prezioso bivalve.

Ma ciò che ha giocato un ruolo determinante nel trasformarlo in un raro tessuto, è stata, senz’altro, la difficoltà della filatura, prima e della tessitura, poi.

  
fig. 2: tela in Bisso finemente lavorata.
© http://www.tuttosantantioco.it
In Sardegna, in un passato non molto lontano, era cospicuo il numero delle donne che filavano il bisso con estrema perizia. Si producevano manufatti quali calze, guanti e scialli destinati quasi esclusivamente ad una élite come, ad esempio il colletto donato dalla città di Taranto alla Regina Margherita di Savoia o il paio di guanti regalati, nel 1822, dal vescovo della stessa città al re di Prussia, o ancora quelli regalati al re Carlo Alberto e realizzati a Cagliari. Altro protagonista della storia del bisso, fu Italo Diana, creatore di preziosi manufatti, che riscosse un notevole successo alle mostre di prodotti artigianali della prima metà del ‘900. Al suo nome è legato un aneddoto che si snoda tra storia e politica e che ha come protagonista un arazzo. Questi era decorato da un fascio littorio e dalla scritta “Viva il Duce” ed era destinato come dono a Mussolini. Ma l’idea naufragò e, nell’immediato dopoguerra, la decorazione venne modificata in motivo decorativo. Attualmente il manufatto viene gelosamente custodito dagli eredi di Diana. Ricordiamo anche Vittorio Alinari, fotografo ed editore fiorentino, che così annotava, in occasione del suo viaggio nell’isola di Sant’Antioco: “Sant’Antioco sembra essere un paese abbastanza industrioso; vi si tessono panni, tappeti, belle coperte, bertule, tele ecc. (fig. 2 ). Ma la lavorazione più curiosa è quella che si fa della Pinna nobilis, che viene pescata in grande abbondanza nel golfo e la cui appendice terminale (bisso), formata da filamenti setacei, viene, in prima, ripulita dalle concrezioni calcaree che vi stanno aderenti, quindi filata e tessuta. Ne deriva una stoffa di un bel colore metallico, che si avvicina al rame, con la quale si confezionano delle sottovesti che, guarnite di bottoni in filigrana d’oro, pure lavorati nel paese e nel cagliaritano, producono bellissimo effetto. Per ogni sottoveste occorrono almeno 900 code la cui filatura costa, all’incirca, una lira al cento. Questo non può ritenersi un prezzo esagerato perché non può filarsene che un centinaio al giorno essendo il filo delicatissimo e facile a strapparsi”.

Oggi, la tenacia e la volontà di tenere viva e di tramandare la fine arte della tessitura del bisso (fig. 3), è dovuta a Chiara Vigo, le cui mani filano veloci e precise le fragili fibre della seta del mare. E’ lei l’unica tessitrice di bisso in Europa ed una delle pochissime rimaste al mondo. Essa lavora questa materia con la perizia che imparò da sua nonna, i cui segreti verranno da lei trasmessi alla futura generazione.

  
fig.3: l'Arte del Bisso tutta contenuta in un pannello descrittivo.
© http://www.tuttosantantioco.it
Per il nostro popolo il bisso è un tessuto sacro”, dice la sig.ra Vigo. “il popolo nostro”? L’isola fa parte della Sardegna!?! “No”- risponde a chi la interroga in merito- “Parlo l’italiano e il sardo e conosco molte canzoni in aramaico. La gente dell’isola dice di discendere dai Caldei e dai Fenici e riconduce l’arte di lavorare il bisso alla Principessa Berenice, una figlia del Re Erode che divenne l’amante dell’Imperatore Tito”. Poi, in riferimento ad un bioccolo di bisso naturale non filato, innalzato verso la luce del mattino, dice: “E’ più fine dei capelli d’angelo”. L’oro del mare, nella sua mano, risplende sotto il sole. Il bioccolo si ricava dai fili del bisso.

Nel mese di maggio, sotto la luce della luna piena, Chiara Vigo s’immerge nell’acqua ad una profondità di cinque metri per prenderli e poi pettinarli, filarli e infine tesserne oggetti preziosi . In un bagno di limone diventa color oro (anticamente si utilizzava l’urina delle vacche che rendeva il bisso più pallido, più chiaro), usando erbe, che solo lei sa essere efficaci, fa nascere altri colori, immergendo il bisso in una sorta di tisana fatta con tali erbe. “Dal bisso non si può trarre alcun vantaggio materiale, non si può lucrare”, così stabilisce il giuramento del mare e così Chiara ha dichiarato la sua fedeltà al mare, all’acqua, alla terra e all’arte. “Il panno di bisso può essere solo donato”. Forse, come fosse premio alla sua dedizione all’Arte, Chiara Vigo, un giorno, vedrà le sue creazioni animarsi, grazie all’Amore che vi ha infuso con tanta dedizione...

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