Il 17 marzo 1978 la petroliera "Amoco Cadiz", battente
bandiera liberiana, s'incagliò sulla scogliera bretone e si spezzò in due tronconi.
231.000 tonnellate di greggio ne fuoriuscirono, l'accaduto rimane nella storia
come peggior inquinamento costiero da petrolio. Il più grande versamento di
petrolio in mare non fu un incidente e avvenne nel 1991 durante la cosiddetta
"guerra del golfo": gli iraniani versarono lungo le coste del Kuwait
da 800.000 a 1,2 milioni di tonnellate di greggio e sempre nel golfo Persico,
nel 1983, si andarono a riversare 540.000 tonnellate di greggio fuoriuscite
dalla piattaforma petrolifera Nowruz (il più grave incidente mai occorso a una
piattaforma). Ma anche oggi lo scempio continua, la notizia ha indignato tutto
il mondo; il 16 gennaio 2001 la Jessica, una petroliera equadoregna, si incagliò
a 800 metri dalle coste di San Cristobal, l'isola più orientale delle Galapagos,
da uno squarcio prodottosi nello scafo fuoriuscì gran parte del carburante (600
tonnellate su 800), il paradiso fu salvo (non senza danni) per il rotto della
cuffia grazie alle correnti favorevoli. Tuttavia solo il 10% degli idrocarburi
che contaminano i mari proviene da riversamenti accidentali. Il resto proviene
da fonti croniche, quali la ricaduta di particelle inquinanti dall'atmosfera,
infiltrazioni naturali, dilavamento degli oli minerali dispersi nell'ambiente,
perdite di raffinerie o d'impianti di trivellazione su piattaforme in mare aperto
e, soprattutto, lo scarico d'acque di zavorra da parte di navi cisterna e petroliere.
La fonte principale dell'inquinamento marino da idrocarburi (20% del totale)
rimane lo scarico in mare d'acque contaminate nel corso d'operazioni di lavaggio
delle cisterne. Una volta consegnato il proprio carico alle raffinerie le petroliere
pompano, infatti, nelle cisterne acqua che serve da zavorra per il viaggio di
ritorno, che viene scaricata in mare prima di giungere ai terminali di carico,
contribuendo, così, a produrre un tipo di inquinamento sistematico, o cronico,
spesso molto più grave di quello accidentale. I grumi di catrame che si depositano
sulle spiagge nelle località balneari derivano per lo più dai residui contenuti
nelle acque di zavorra scaricate in mare. L'impiego di questa tecnica di lavaggio
è stato limitato, a partire dagli anni Settanta, da una serie di convenzioni
internazionali, che hanno imposto l'installazione a bordo di sistemi per la
separazione dei residui di petrolio dalle acque di zavorra e di lavaggio pompate
in mare, l'adozione di dispositivi per il controllo del grado di inquinamento
delle acque di zavorra e l'installazione di impianti per la raccolta e il trattamento
delle acque contaminate presso i terminali di carico del greggio e i porti di
scalo. Nonostante tutto solo nel 1999 nel Mediterraneo sono stati rilevati 1000
versamenti deliberati, per zavorramento e pulizia di cisterne.
@ Un duro colpo per l'ambiente
Non esiste un veleno dell'ambiente più difficile da analizzare e da valutare
del greggio, intatti, non è una sostanza unitaria a composizione costante. Essa
comprende da 2 a 3000 singoli, ed in parte complicatissimi, composti di idrocarburi
che non si possono "colpire"; chimicamente con assoluta precisione. Alcune particelle
galleggiano sempre in superficie, altre, dopo qualche tempo, sprofondano fino
ai fondali marini. Alcune sostanze evaporano, altre si sciolgono nell'acqua,
oppure vanno alla deriva per anni nei mari, finché arrivano sulle coste, sotto
forma di grumi di catrame. Non meno complicato della composizione del petrolio
è l'effetto che esso ha sugli esseri viventi; alcuni idrocarburi, il benzopirene
per esempio, provocano il cancro e non solo agli abitanti del mare! Composti
chimici, considerati neutri, sono in grado di causare agli animali danni meccanici,
perché sì depositano in uno strato oleoso lungo le vie respiratorie. Nei crostacei,
per esempio, si verificano particolari danni fisici in caso di mancato funzionamento
dei loro complicati sistemi respiratorio e di filtraggio, particolarmente facili
da ostruire. Molte sostanze vengono assorbite con il cibo e possono provocare,
a tempi lunghi, danni incalcolabili. Tra gli animali che subiscono danni "acuti";
o primari vi sono gli uccelli marini, che continuano a ricercare il pesce senza
curarsi della coltre di petrolio, s'insozzano il piumaggio e non potendo più
volare, annegano o muoiono assiderati. Primi candidati all'estinzione sono gli
organismi sessili che, essendo fissi sul posto, non possono fuggire. Le vittime
più sensibili sono embrioni e larve, infatti, è sufficiente una particella di
petrolio su un milione di molecole d'acqua per uccidere uova e larve di pesci.
Ma anche tra animali di maggiori dimensioni esistono gruppi tanto sensibili
all'intossicazione da petrolio: ad esempio, dopo il disastro della Amoco Cadiz,
gli echinodermi, in generale, ed in particolare i ricci si accumularono morti
lungo le coste bretoni.
Eppure vivono a profondità tali da non poter essere raggiunte
dal «grosso» del petrolio. Una pari intolleranza è mostrata anche dalle madrepore,
tanto che sciagure petrolifere verificatesi nei mari tropicali hanno causato
vere catastrofi, infatti, le barriere coralline costituiscono nei mari caldi
la base della vita. Le madrepore risento particolarmente anche di piccole quantità
di petrolio poiché per il loro sviluppo hanno bisogno d'acque particolarmente
trasparenti, infatti, nel loro corpo vivono microalghe simbiotiche (Zooxantelle),
appartenenti ai dinoflaggelati, che sono loro d'aiuto nel fissaggio del carbonato
di calcio; le Zooxantelle, hanno bisogno di molta luce per la fotosintesi e
perciò non possono sopportare che essa sia attenuata da materiale in sospensione.
Esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che al contrario i molluschi, molti
gamberi e vermi sono spesso resistenti contro piccole quantità di petrolio.
Molti invertebrati che vivono sotto la sabbia si salvano nei più profondi strati
sedimentari dove in un primo momento, evitano il contatto diretto con il petrolio.
Tuttavia, finiscono per perire se un sovrastante strato d'olio pesante impedisce
loro di pompare acqua fresca per respirare. Solo alcuni granchi di sabbia e
vermi da esca sembrano essere più resistenti. In parecchi casi, pesci e microrganismi
del plancton possono fuggire dalle macchie inquinate, eppure, dopo ogni "impestamento";
si notano gravi morie di pesci e molto plancton, va distrutto. Il comportamento
e la biologia di molti animali, frutto d'antichi processi d'adattamento, davanti
al pericolo dell'inquinamento aggravano la loro già disperata situazione; ad
esempio, gli uccelli: il loro ancestrale bisogno di pulizia li spinge a spargere
su tutto il piumaggio il catrame che li inzacchera. Anche quando l'opinione
pubblica ha da tempo dimenticato una catastrofe da inquinamento petrolifero
e danni provocati sono stati superficialmente eliminati, gli effetti reali continuano
a sussistere. Come la maggior parte degli inquinamenti ambientali, anche quello
provocato dal petrolio produce conseguenze a lunga scadenza, lo dimostra la
diminuzione di granchi e molluschi e della quantità del plancton, ed anche la
scomparsa dei vermi da determinati territori. Si è constatato che alcune varietà
di vermi, di crostacei, di pesci e di ricci subivano perturbamenti delle funzioni
riproduttive e della crescita, in presenza di una minima concentrazione di olio
pesante, pari a una parte per milione. Se questi animali riescono a sopravvivere,
la loro prole presenta delle deformità. I mammiferi marini che, apparentemente
superano le momentanee catastrofi, spesso, si ammalano di cancro. Bastano minime
quantità di petrolio nel mare a cambiare l'equilibrio naturale della fauna marina,
per esempio gli astici, disorientati, invece dì ricercare il loro normale nutrimento,
preferiscono cibarsi di cordame incatramato. Anche nei pesci si è notato lo
stesso tipo di disorientamento, dovuto al modificato equilibrio degli idrocarburi
nelle acque; altri animali perdono addirittura la facoltà di obbedire ai richiami
sessuali e non riescono più a trovare il loro partner.
@ Il petrolio una sostanza non estranea?
La natura è però riuscita a trovare le misure idonee a combattere il petrolio:
molti abitatori degli strati sedimentari hanno ridotto il ritmo del loro ricambio,
riuscendo a sopravvivere a lungo senza alimentarsi. Molti altri animali sono
in grado di attivare sistemi enzimatici, i "Mixed Function Oxidases"; (Funzioni
miste ossidanti), in virtù dei quali possono scomporre gli oli e rendere inoffensivi
i veleni. Si è osservato così come le ostriche americane, dopo una permanenza
di quattro settimane in acqua pulita, non portavano più alcuna traccia di petrolio,
nonostante ne fossero state fortemente inquinate. Si è constatata la presenza
di MFO (Mixed Function Oxidases) in vermi, pesci, crostacei e mammiferi, ottenendo
così la prova che la natura ha in serbo risposte adeguate anche al pericolo
del petrolio. Solo che questo meccanismo difensivo può funzionare unicamente
in organismi nei quali il danno subito non impedisce tuttavia al metabolismo
di funzionare cioè in presenza di
piccolissime concentrazioni. L'enorme quantità di petrolio sparso,
come nel caso dei catastrofici naufragi dì petroliere causa comunque la distruzione
della fauna su vasta scala. L'esistenza degli MFO dimostra però che persino
l'olio grezzo non è una sostanza aliena alla natura ed in realtà esistono fonti
di petrolio che da millenni sgorgano nel mare e che convivono naturalmente con
l'ambiente circostante. Gli esperti stimano la loro erogazione non meno importante
di quella prodotta dal naufragio di una petroliera. Per esempio, nella fossa
della California si è riscontrata negli animali una notevole concentrazione
di greggio. Le forme di vita così "naturalmente"; inquinate non riportano danni
riscontrabili solo perché in loro si sono sviluppati sistemi difensivi dovuti
alla prolungata convivenza con l'agente inquinante. Questo è un punto che differenzia
notevolmente gli inquinamenti da olio grezzo da quelli provocati chimicamente
ed artificialmente per mezzo del DDT. È evidente che gli idrocarburi, derivanti
dal petrolio, nel contesto della catena alimentare non vengono in alcun modo
arricchiti, poiché si possono facilmente e rapidamente eliminare. Poiché il
grezzo si riversa nel mare da tempi incalcolabili in forma naturale, nell'ambiente
si sono creati dei consumatori: sono dei batteri disintegratori degli oli incessantemente
all'opera nel mare e lungo le coste. Sono specializzati, in modo differenziato,
nella disgregazione dei composti di idrocarburi presenti nel grezzo, poiché
traggono le loro energie dalla separazione dell'acqua dal biossido di carbonio;
senza questi batteri sarebbe vano sperare in una rigenerazione. Tali microrganismi,
attualmente, si sono straordinariamente moltiplicati lungo le abituali rotte
delle petroliere. La speranza, tuttavia, di "vaccinare"; le zone dove più spesso
si verificano catastrofi petrolifere con questi batteri è fallita, perché il
loro potere disintegrante si esaurisce troppo rapidamente. Il fabbisogno dei
batteri di ossigeno, azoto e fosforo non si può coprire sufficientemente. Ancora
non si è chiarito se, ed in quale misura, anche animali superiori contribuiscano
a disintegrare il grezzo. Si è comunque rilevato che molte varietà di vermi,
ma anche i crostacei, assorbono il grezzo con il cibo e poi lo elaborano nel
proprio corpo. Ma in che misura queste sostanze siano disintegrate o inattivate
dagli animali, rimane tuttora inspiegato.
Leggi la seconda parte di "Marea
nera".
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